Relazioni difficili … sempre con lo stesso finale negativo

18 giugno 2008

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E’ UN GIOCO?

 

Avete mai avuto un’interazione sociale nella quale voi e l’altro, alla fine, vi siete sentiti entrambi a disagio?  

 

 
 

Nella quale avete detto a voi stessi: “È successo di nuovo!”, “Pensavo lui/lei fosse diverso … e invece!”, “Come mai è successo di nuovo?”. Una situazione nella quale vi siete sorpresi per come sono andate a finire le cose, rendendovi conto, al contempo, che quel finale vi era familiare?

Se vi è successo, è molto probabile che, in linguaggio A.T., steste effettuando un “gioco” psicologico.

Eric Berne, fondatore dell’analisi transazionale, è stato il primo a parlare di “giochi” e a suggerire come analizzarli.

 

I Giochi hanno alcune caratteristiche precise:

1. sono RIPETITIVI: ogni persona gioca il suo preferito più e più volte. Attori e contenuti possono cambiare ma lo schema di base è sempre lo stesso.

2. sono INCONSAPEVOLI: la persona li mette in scena senza rendersene conto e, anche in fase finale, quando si accorge del ripetersi effettivo dello schema, non è consapevole di aver contribuito essa stessa a costruirlo.

3. comportano uno scambio di TRANSAZIONI ULTERIORI tra i giocatori: c’è uno scambio che avviene a livello sociale manifesto e un altro scambio, (ulteriore appunto), che avviene a livello psicologico, indiretto. E’ proprio quest’ultimo che determina l’andamento della transazione.

4. comporta un momento di SORPRESA o CONFUSIONE in cui il giocatore ha la sensazione sia successo qualcosa d’inaspettato. Le persone sembrano aver cambiato ruolo.

 

I giochi non sono divertenti. Allora perché li effettuiamo? Gli autori A.T. hanno suggerito numerose ipotesi.

Tutti concordano su un punto: nell’effettuare un gioco, la persona, invece di utilizzare risorse e opzioni adulte nella gestione della relazione, attiva quelle strategie che nell’infanzia aveva trovato funzionali ad ottenere attenzioni (positive o negative che fossero). Gli Schiff suggeriscono inoltre che i giochi derivino da rapporti simbiotici irrisolti nei quali ciascun giocatore svaluta sia se stesso che l’altro. Ogni gioco è un tentativo di mantenere una simbiosi non sana o una rabbiosa reazione contro la simbiosi stessa.

 

Un es.

 

Jack incontra Jean. Si innamorano e decidono di vivere insieme. All’inizio tutto va benissimo. Con il passare dei mesi Jack inizia a fare soffrire Jaen: ignora i suoi bisogni, le inveisce contro, la picchia, si ubriaca, spende il denaro di lei. Jean, nonostante tutto, continua a scusarlo. Più lui si fa aggressivo, più lei si sente ferita, più lo scusa. Questo per tre anni. Poi, senza preavviso, Jean lascia Jack per un altro uomo. Jack trova un biglietto a casa, dove lei le dice che se n’è andata per sempre. Jack rimane stupito “com’è potuto succedere?”. La rintraccia e la prega. Più lui la prega, più lei lo rifiuta duramente, più lui si sente male. Jack si sente depresso, abbandonato e si chiede “cos’ho che non va?” “mai più!”. La cosa strana è che Jack ha già avuto due esperienze di rifiuto che hanno seguito lo stesso schema. Lo schema si ripete e lui torna a sentirsi sorpreso e rifiutato. Jean, dal canto suo, è già stata maltrattata da altri uomini. All’inizio lei ha accettato e poi, improvvisamente, ha rifiutato tutto, dicendosi per l’ennesima volta “gli uomini sono tutti uguali”. Ciò nondimeno comincia rapporti con un altro uomo e la storia si ripete.

 

Un es.

 

Molly incontra Tom che ha l’aria affranta. Lui le dice: “Il mio padrone di casa mi ha buttato fuori, non so dove andare. Non so cosa fare”. Molly preoccupata: “E’ terribile, come posso aiutarti?”. Tom sconsolato: “Non lo so” e rimane in attesa. Molly allora dice: “Non scoraggiarti, prova a guardare nel giornale, puoi affittare una stanza”. Lui abbattuto: “Non ho abbastanza soldi”. Lei: “Posso darti un aiuto per questo”. Lui: “Carino da parte tua, ma non voglio la carità da parte di nessuno”. Molly: “Beh, posso almeno prenotarti un letto all’ostello fino a quando non avrai risolto il problema?”. Tom: “Grazie, ma non credo riuscirei a stare in mezzo a tutta quella gente!”. Cade il silenzio. Molly non trova altre soluzioni. Tom tira un lungo sospiro, si alza e se ne va dicendo: “Grazie comunque per averci provato”. Molly si chiede “Ma che diavolo è successo?”. Si sente stupita, depressa, non all’altezza di aiutare gli altri. Tom si sente indignato e pensa: “Sapevo che non mi avrebbe aiutato!”.

 

 

I.STEWART-V. JOINES “L’Analisi Transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani” (pgg.295-327)

 


Omosessualità: Omofobia e Sofferenza psicologica

24 Maggio 2008

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Omosessualità

Una persona si definisce omosessuale quando prova sentimenti di innamoramento, desiderio ed attrazione erotica nei confronti di persone dello stesso sesso. Nonostante esistano svariate teorie di tipo sia biologico che psicologico, allo stato attuale non esiste ancora uno studio scientifico o un’ipotesi ufficiale che possa, con assoluta certezza, spiegare il perché una persona diventi omosessuale e perché un’altra  diventi eterosessuale.

 

L’omosessualità non è una malattia

L’unica cosa di cui si è certi è che l’omosessualità non sia una malattia, ma semplicemente una variante normale della sessualità umana.  La parola omosessualità è stata tolta definitivamente dal Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, manuale dove psicologi e psichiatri trovano le linee guida con le quali stabilire la presenza o meno di un disturbo mentale, già dal 1973. Il documento dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA), che sanciva questa modifica, dichiarava: “L’omosessualità in sé non implica un deterioramento nel giudizio, nell’adattamento, nel valore o nelle generali abilità sociali o motivazionali di un individuo”. Già da molto tempo, dunque, è ingiustificato considerare l’omosessualità come una malattia. L’idea che siamo tutti eterosessuali, che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo) e che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità è contro natura”) è una falsa credenza. In realtà, anche nel mondo animale (criceti, porcellini d’India, topi, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé) sono presenti comportamenti omosessuali

 

Omofobia ed Eterosessismo

Ciò nonostante le persone comuni continuano ad avere questo pregiudizio e gli omosessuali continuano ad essere vittime di una società fortemente omofobica ed eterosessista.  Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso”, indica l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli omosessuali. Può manifestarsi in modi molto diversi: dalla battuta, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. In seguito ad essa, ad esempio, alcuni eterosessuali, raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone omosessuali, altri si mettono a ridere quando li incontrano per strada, altri ancora dicono di essere disgustati dai loro comportamenti, altri si dicono arrabbiati o indignati. L’omofobia deriva dalla falsa credenza che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto. L’omofobia si alimenta in vari modi. La società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia ha riguardato, nel corso della storia, tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi perché ritenute minacce ai valori convenzionali. Il pregiudizio è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la diversità (gli individui omofobici, per es, spesso non conoscono la realtà omosessuale e ne hanno un’idea astratta basata sul sentito dire). Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere gli omosessuali perché è consuetudine farlo. Le credenze negative nei confronti dell’omosessualità sono così diffuse nella nostra società che gli omosessuali stessi tendono ad essere omofobici  (omofobia interiorizzata).

 

L’omofobia interiorizzata

L’omofobia interiorizzata indica l’insieme di sentimenti (rabbia, ansia, senso di colpa, ecc.) e atteggiamenti negativi verso caratteristiche omosessuali in se stessi e nelle altre persone. Il suo sviluppo è considerato, tuttavia, un processo normale nella vita degli omosessuali in quanto è un’inevitabile conseguenza del fatto che tutti i bambini sono esposti alle norme eterosessiste ed hanno sperimentato, nel corso della propria crescita, atteggiamenti ed emozioni negative verso la propria omosessualità.

 

Una crescita difficile

L’ostilità nei confronti dell’omosessualità (omofobia) è così diffusa nella nostra società che la maggior parte dei giovani omosessuali ha avuto per genitori persone omofobiche e, nel corso della propria infanzia e adolescenza, ha frequentato insegnanti, compagni di scuola, amici di famiglia, etc., omofobici. Durante il periodo di esplorazione della propria identità, quindi, è già consapevole della mancanza di approvazione del comportamento omosessuale da parte della società e ha già appreso, dal contesto culturale, che provare sensazioni omoerotiche è meritevole di vergogna. E’ spesso inevitabile che durante l’adolescenza gli omosessuali si percepiscano come diversi e inadeguati e che molti di loro scelgano il ritiro sociale e l’isolamento. L’isolamento avviene secondo un modello ciclico. In un primo momento l’adolescente non riesce a spiegare a se stesso la propria diversità, è solo con il trascorrere del tempo che diventa consapevole di provare attrazione e sentimenti di amore nei confronti di persone dello stesso sesso. Tale consapevolezza, dal momento che vive in un contesto omofobico, può compromettere in modo serio la conduzione della vita sociale: alcuni preferiscono isolarsi e vivere la propria omosessualità nella segretezza, altri si nascondono dietro uno stile di vita convenzionale, aumentando il divario tra “identità pubblica” e “identità privata-omosessuale”. Durante l’adolescenza, tutti gli omosessuali, o quasi, temono che gli altri vengano a conoscenza del proprio orientamento sessuale e sviluppano, per questo, una maggiore attenzione nei confronti del contesto sociale di appartenenza, diventano più sensibili alle offese dei loro coetanei. Lo sviluppo di una rete di amicizie avviene molto lentamente, soprattutto a causa della paura di essere rifiutati. La paura del rifiuto fa sì che spesso molti giovani omosessuali diventino dipendenti da una piccola rete di persone ai quali hanno rivelato (coming out) il loro orientamento sessuale. Così, durante l’adolescenza, si trovano a parlare di sé e dei propri problemi con poche persone e, nello stesso tempo, a nascondere la propria sessualità a tutti gli altri (inclusi genitori e fratelli). Tale situazione intensifica la percezione della loro diversità. Infine, la difficoltà di parlare con gli altri di sé favorisce nei giovani l’interiorizzazione acritica degli assunti omofobici ed eterosessisti della società, che sono causa dell’isolamento stesso.

 

Disturbi psicologici nell’omosessuale

Il documento dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA) dichiara “L’omosessualità in sé non implica un deterioramento nel giudizio, nell’adattamento, nel valore o nelle generali abilità sociali o motivazionali di un individuo”.

Dalle ricerche scientifiche sull’argomento risulta che gli omosessuali presentano un’alta prevalenza di disturbi psichiatrici, tra cui depressione, attacchi di panico, ansia generalizzata, tentativi di suicidio. Secondo alcuni studiosi lo stigma, il pregiudizio e la discriminazione creano un ambiente sociale così stressante da favorire lo sviluppo dei problemi psicologici. In modo più specifico, il processo di stress dipenderebbe da diversi fattori collegati tra loro: gli eventi dove si è vittima del pregiudizio (discriminazione e violenze), l’aspettativa del rifiuto da parte degli altri, il nascondersi, le strategie di fronteggiamento, la mancanza di supporto sociale e, infine, l’omofobia interiorizzata. Questa ipotesi è stata definita con il termine minority stress e attualmente sembra essere la teoria più appropriata per spiegare l’alta prevalenza di disturbi psichiatrici negli omosessuali.

E’ il pregiudizio e la discriminazione che ne compromette enormemente lo sviluppo individuale ed il comportamento. E’ a causa del rifiuto che la persona omosessuale, fin dall’adolescenza, sperimenta sensazioni di diversità e di sofferenza emotiva che la spingono verso l’isolamento sociale e che le impediscono di venire allo scoperto (coming out) e di esprimersi e crescere come tutti gli altri.


Nel brano che segue, Thomas Couser (1996) descrive cosa significa essere vittima di discriminazione e violenza verbale e spiega cosa ha provato quando ha visto la sua macchina ricoperta di scritte offensive riguardanti la propria omosessualità: “La possibilità che potessi essere osservato mi rendeva paranoico. È questo ciò che significa essere omosessuale… essere costantemente infastidito da gente completamente estranea. Nel lasso di questi brevi momenti, cominciai a pensare che ci vuole una buona dose di coraggio per essere apertamente gay… come mi sentivo vulnerabile! Per alcuni giorni provai paura e shock, paura che l’incidente si potesse ripetere o che la violenza potesse aumentare. Mi sentivo violato e mi faceva rabbia la mia incapacità di reagire. Mi sentivo come fossi stato etichettato per sempre…gli stereotipi del genere e l’omofobia sminuiscono e rendono inumani tutti noi” (T. Couser, 1996, p.56).